Tra uno “Gennà, spara…spara!” e un “Cirù ce pienz’ tu?” siamo arrivati alla conclusione della terza stagione di Gomorra.
Partiamo col dire che ritengo Cattleya una delle migliori case di produzioni cinematografiche italiane e ci tengo a precisare sin da subito che Gomorra è, a mio avviso, forse il loro peggior prodotto sfornato sino ad ora. Sia chiaro: non critico Gomorra perché trasmette un’immagine sbagliata o stereotipata di Napoli (su questo ci tornerò qualche riga più giù). La critico perché è un’opera scritta davvero male con personaggi caratterizzati in modo assurdo. Forse parlo così perché Stefano Sollima mi aveva abituato a ben altro. Romanzo Criminale, ad esempio, lo ritengo un piccolo grande capolavoro ed è inevitabile usarlo come metro di paragone. Se ci fosse uno scontro alla Street Fighter tra Gomorra e Romanzo Criminale allora Gomorra ne verrebbe fuori con le ossa rotte dopo aver ricevuto 10 uppercut e uno shoryuken in pochi secondi.
Voi direte: “Ma che cavolo dici? Gomorra sta avendo successo anche all’estero. È un Gangster movie dal taglio internazionale”. La mia risposta è “ni”. Vero, è girato con gran maestria, ma come dicevo prima le lacune non sono sulla regia, il vero tallone d’Achille è la sceneggiatura che sembra scritta in fretta e furia.
Ci sono genitori che per far “svegliare” i figli li iscrivono a judo, Donna Imma invece ha scelto di mandare Genny in Honduras per un paio di mesi. E ha funzionato alla grande trasformandolo (in modo improbabile) da così:
a così:
E che dire di Ciro Di Marzio aka Altair di Assasin’s Creed?
La verità è che Gomorra è diventata, puntata dopo puntata, la parodia di se stessa e la stessa cosa si può dire delle interpretazioni degli attori principali passati, col tempo, da “emergenti” a imitazione di Mario Merola. Via via si susseguono colpi di scena che cambiano tutto e non cambiano nulla. Mediamente una puntata dura 45 minuti suddivisi in questo modo:
Dal minuto 1 al minuto 5: Evoluzione del colpo di scena visto nella puntata precedente
Dal minuto 5 al minuto 15: Non succede un cazzo
Dal minuto 15 al minuto 30: Lunghi scambi di battute in napoletano pieni di parolacce e antichi detti
Dal minuto 30 al minuto 40: Non succede un cazzo
Dal minuto 40 al minuto 45: Colpo di scena la cui evoluzione sarà spiegata nei primi 5 minuti della puntata successiva
Scimmiottando poi un po’ il Trono di Spade è oramai diventata la prassi uccidere in ogni stagione un paio di personaggi principali.
La verità è che Gomorra non è più una serie tv, è stata trasformata da Sky in una sceneggiata napoletana. Una sceneggiata infarcita ogni 2 minuti da parolacce di ogni tipo e antichi detti napoletani gettati a casaccio dentro il calderone. Ho un amico che quando è venuto a Napoli (come in Benvenuti al Sud) pensava che parlassimo tutti così “Ueee fratè, fratellì, fratellò“. Ma perché per Sky è diventato così importante Gomorra? Perché ha capito ciò che De Laurentis ha capito nei primi anni del 2000. Con Napoli, e i napoletani, si fanno soldi! Gomorra ha un’audience altrissima, infatti da napoletano posso garantirvi che qui ci sono decine e decine di persone che il venerdì non escono di casa per guardare le nuove puntate. Perché? Perché nel bene e nel male parla di Napoli.
Gomorra è un pericolo per l’immagine di Napoli?
Dipende dal grado di istruzione a cui appartengono i telespettatori.
Napoletano con grado di istruzione medio alto: “È solo un telefilm”.
Italiano con grado di istruzione medio alto: “È solo un telefilm”.
Napoletano con grado di istruzione basso: “Uaaa, tropp’bell! Chist’ si ca so’uommn chè pall’”
Italiano con grado di istruzione basso:“Figa! Questi terroni di Napoli sono tutti delle merde!”
Ricordate quando Totò e Peppino visitarono Milano credendo che fosse come la raccontavano?
Arrivavano in stazione centrale vestiti come soldati italiani mandati sul fronte russo, scandivano le parole in un’altra lingua nel timore che non fossero capiti dato che a Milano non si parla la lingua napoletana.
Ecco, ora immaginiamo la situazione opposta. Italiano medio che non ha mai visitato la cità partenopea e che vede Gomorra in TV. Gli comunicano che per lavoro dovrà recarsi a Napoli per un paio di giorni. Rivede la sua vita scorrergli davanti gli occhi, attraversa le 5 fasi dell’elaborazione del lutto:
1- Negazione “Non è possibile! Non è vero che devo andare a Napoli!”
2- Rabbia “Perché diavolo proprio a me? Non potevano chiederlo a Ermenelgildo? Lui ha pure un bisnonno di Frosinone!”
3- Negoziazione “Non mandatemi a Napoli, rinuncio all’aumento!”
4- Depressione “Perché proprio a me? Perché proprio a me? Ho sbagliato tutto nella vita! Farò una brutta fine”
5- Accettazione “Vabbe’ io ci vado, tanto tutti prima o poi dobbiamo morire! Avverto il notaio.”
Farà ridere ma sono pronto a mettere la mano sul fuoco che per tanti è così. Ci vuole intelligenza per abbattere i luoghi comuni. Non tutti ne sono dotati. Venire a Napoli aspettandosi una rapina è come andare a Milano col colbacco e parlare francese. Ridicolo.
Leggo continuamente dichiarazioni di Saviano, registi, sceneggiatori, attori, ex-attori in cui si sbracciano per difendere Gomorra. E grazie al cazzo rispondo io, è il lavoro che gli consente di portare il piatto a tavola! Dire che una semplice serie tv non sia un pericolo è non solo semplicistico, ma anche stupido. Secondo la statistica niente è impossibile, tutto è improbabile. Quando le Iene si sono sputtanate con la finta notizia della Blu Whale, fior fiori di psicologi allarmati lanciavano l’allarme circa il pericolo emulazione. Adesso io mi chiedo: Quanto è forte il rischio emulazione per quei giovani che non hanno nulla se non la strada?
D’altro canto anche le dichiarazioni allarmistiche vanno prese con le molle. Dire che i problemi di Napoli siano in Gomorra è da “Guinnes dei Primati delle figure di merda”. Napoli semplicemente cerca la visibilità e lo spazio che merita. Napoli è musica, arte, fantasia, buon cibo, tradizioni. Ma affinché anche questi lati postivi trovino spazio nell’immaginario comune è compito di noi napoletani fare in modo che ciò avvenga.